Un giro intorno all’Etna

L’Etna, come si sa, è un vulcano ancora attivo che, con la sua attività anche recente, ha profondamente modificato l paesaggio circostante. Ha raggiunto abitati e città della zona, fino a Catania (come ho descritto nello scritto dedicato a questa città), creando non pochi problemi alle popolazioni della zona.

Proprio per questa instabilità, la sua altezza è variabile. Quella registrata negli ultimi cinquanta anni varia tra i 3200 e i 3400 metri. E’ facilmente accessibile e meta di visite (con la guida di personale specializzato) che possono giungere fino ai crateri sommitali.

Noi, nel corso del nostro viaggio in Sicilia, nel marzo del 2012, abbiamo rinunciato ad una tale visita e ci siamo limitati ad ammirarlo da lontano, con i suoi pennacchi di fumo, circondato da un bianco innevamento nella sua parte più alta e dalla vegetazione ricca e varia delle sue pendici. Inoltre abbiamo visitato i comuni disseminati alla sua base.

Lasciata la strada costiera a nord dell’Etna, abbiamo anzitutto raggiunto Linguaglossa.

Passeggiando lungo le sue strade, nella piazza antistante la Chiesa matrice, davanti al palazzo del Municipio e tra le abitazioni abbiamo avuto un primo impatto su cosa significhi vivere alle pendici di un vulcano.

Sulle strade, sui marciapiedi, sotto la suola delle nostre scarpe una polvere sottile, nera, qualche volta delle dimensioni di piccoli granelli. Il grigiore della polvere si estende facilmente alle facciate delle abitazioni, ai muri e si appoggia sui balconi e sui davanzali delle finestre.

La sosta è breve, il tempo di una rapida passeggiata, prima di fermarci in un’area di sosta, dalla quale si gode una vista meravigliosa sull’intera area vulcanica, con le pendici verdeggianti e la cima ricoperta di candida neve sotto il cielo limpido e azzurro che ci regala marzo.

Raggiungiamo quindi la tappa successiva: Randazzo.

E’ un piccolo paesino, ma sicuramente più grande del precedente. Di origine medievale, presenta ancora brani delle antiche mura, nonché bei palazzi, chiese, strette stradine con piccoli archi che si rincorrono tra le facciate.

L’aspetto assai particolare non è tanto la polvere (che non manca) come nel caso di Linguaglossa, bensì il fatto che le principali architetture, quelle antiche e storiche, per intenderci, sono fatte con la pietra scura del vulcano. E quindi il grigio scuro impera quasi ovunque, sia nei vicoli più stretti, sia nelle piazze, sia nei palazzi storici.

Persino le eleganti cornici, gli archi e le colonnine che inquadrano le finestre di alcuni antichi e pregevoli palazzi, alle quali altrove vengono destinati i marmi più chiari per esaltarne le forme e gli intarsi, qui sono della pietra più scura, quasi nera, per distinguerla dal grigiore dei muri.

Un grigiore che nemmeno una improvvisa (e fortunatamente breve) pioggerella marzolina che subito si disperde per cedere nuovamente spazio ad una luminosa giornata, riesce a disperdere.

Di qui a Bronte la distanza è breve.

Anche Bronte è una piccola cittadina, nel medioevo non era altro che una serie di piccoli casali abitati da gente dedita ai lavori agricoli. E’ passata alla storia perché durante la Spedizione dei Mille, la popolazione insorse, uccidendo (era l’8 agosto del 1860) 16 proprietari terrieri, per lo più latifondisti. La rivolta venne soffocata da Nino Bixio e si concluse con la fucilazione di cinque presunti colpevoli.

Nonostante la presenza di numerose chiese e alcune costruzioni civili degne di interesse, noi ci fermiamo solo il tempo di gustare ed acquistare alcune specialità dolciarie a base di pistacchi, un prodotto per la produzione del quale Bronte è assai nota.

Più lunga è, invece, la sosta ad Adrano, di sicuro il comune più grande di quelli disposti lungo la base dell’Etna, che sorge nella parte sud occidentale del vulcano.

Il territorio era popolato sin dal Neolitico e poi dai Siculi; la città venne invece fondata da Dionigi il Vecchio (di Siracusa), nel 400 a.C. Di questo periodo sono alcuni importanti resti di mura e le fondazioni di alcune abitazioni (il tutto, però, non ben conservato).

Anche in questo caso domina la pietra lavica, scura e nera della zona; per il resto anche qui la polvere grigia ricopre gran parte degli edifici e dei tetti delle case.

Lo sviluppo maggiormente significativo della città avvenne con i Normanni, cui si deve la realizzazione del Castello, un poderoso torrione a pianta rettangolare, in pietra lavica, realizzato nell’ XI secolo, probabilmente sul posto di una precedente torre saracena.

In epoca successiva la torre venne utilizzata quale abitazione per le importanti famiglie siciliane, baroni e conti, che si succedettero nel governo del territorio.

Il castello presenta due grandi porte al piano terra, finestre, bifore ed aperture di varia foggia ed epoca si aprono nei sei livelli superiori, fino alla terrazza merlata. Da qui, si gode una ampia vista sul paesaggio e sulle abitazioni circostanti, a cominciare dall’altro grande monumento cittadino: l’ex Monastero di Santa Lucia.

Il lungo fronte della costruzione (costruita in due fasi successive nel 1150 e nel 1596), occupa un intero lato della grande piazza antistante e si concentra nella ampia e scura facciata centrale della chiesa, costruita nel XVIII secolo.

La facciata della chiesa è divisa in tre ordini sovrapposti separati da colonne, lesene e cornicioni; ai lati due campanili simmetrici che culminano in due cupole quadrangolari.

Degni di nota sono anche due abitazioni nobiliari: il Palazzo Ciancio e il Palazzo Bianchi.

Ultima tappa del nostro giro intorno all’Etna è Paternò.

In questo caso decidiamo di non recarci all’interno dell’abitato, ma di raggiungere direttamente l’ampia rupe che lo sovrasta, dove sono i principali monumenti storici della città.

Qui sorgono alcuni edifici religiosi tra i quali la chiesa di Santa Maria dell’Alto (di origine normanna, ma molto rimaneggiata), la chiesa-convento di San Francesco (XV secolo, poi abbandonata). Ma soprattutto qui è il poderoso Castello normanno, monumento simbolo della città.

La massiccia struttura fatta costruire dal Gran Conte Ruggero nel 1072 (rimaneggiata nel corso dei primi anni del XIV secolo), è assai simile a quelli francesi ed inglesi del periodo (“donjon”, vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Dongione). Era parte del castello fatto edificare a protezione della intera Valle del Simeto che da qui si apre verso l’interno.

L’edificio (al tempo della mia visita chiuso al pubblico), è a pianta rettangolare e si sviluppa su quattro livelli. L’ingresso è posto ad una certa altezza da terra (attualmente vi si accede con una stretta scala in pietra), sulla facciata lunga è una serie di quattro bifore, mentre al di sopra di esse una bifora molto più grande.

La particolarità della costruzione è costituita dal fatto che mentre la muratura è in pietra lavica, le aperture e le cornici angolari sono completamente bianche. Un piacevole bicromatismo.

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