Foggia – 3

Continuando la nostra passeggiata, organizzata dal Fai di Foggia, lungo le Vie urbane della transumanza di Foggia, e percorriamo un breve tratto di via Arpi fino alla attuale piazza Federico II.

Qui sorge il palazzo che fu sede della Dogana, il primo del quale si abbia conoscenza, prima che, per i notevoli costi di ristrutturazione necessari dopo i danni del terremoto del 1731, del quale ho parlato nel precedente scritto (Foggia – 2), la sede fosse spostata nel palazzo che sorge oggi in Piazza XX settembre.

La nostra guida ci riporta un episodio che secondo la tradizione avvenne qui, all’indomani dell’Unità d’Italia, quando il palazzo venne utilizzato come caserma dell’esercito, dopo che era stato lasciato dalle suore del Conservatorio dell’Annunziata. Durante la processione del Venerdì Santo, che a Foggia prevede, nel corso di un lungo corteo, l’incontro della statua della Madonna Addolorata con quella del Cristo morto adagiato in una teca di vetro, alcuni ufficiali motteggiavano la folla assiepata lungo il percorso. Ne derivò un tumulto che, creando panico tra la folla assiepata, rischiò di far cadere la teca del Cristo morto, salvata in extremis da alcuni rappresentanti della municipalità. Un evento che si può considerare un segno delle tante e complesse contraddizioni determinatesi a seguito della unificazione nazionale.

La piccola piazza Federico II ospita un pozzo di età moderna, dove, forse, un tempo, all’epoca dell’imperatore svevo, erano le piscine per l’allevamento ittico.

La sistemazione urbanistica della piazza è disturbata da alcuni edifici moderni totalmente fuori contesto (ed anche molto brutti), rispetto alla zona circostante.

Da segnalare invece, di fronte alla costruzione sede della vecchia Dogana, il palazzo Villani. L’edificio si articola su due livelli; la facciata, scandita da lesene, presenta un ricco apparato decorativo costituito da capitelli, cimase e triglifi. Al centro della facciata è Il maestoso portale di ingresso con una cornice in pietra e due paraste lisce con teste di leone sormontate da capitelli quadrangolari; sopra il portale è presente lo stemma della famiglia Villani- Marchesani. Sul lato sinistro della facciata è presente una lapide commemorativa (datata 1852), con la dedica a Ferdinando Villani, uno storico nato in questo palazzo.

La successiva breve sosta è nella piazzetta laterale del Museo Civico; sulla parete esterna sono stati ricollocati i pochi resti del palazzo di Federico II : in pratica un arco decorato e sorretto da due aquile ad ali spiegate. La presenza dell’imperatore e dei suoi familiari in città, centro di boschi e foreste adatte alla caccia e di significativi possedimenti imperiali, è testimoniata in molteplici documenti e scritti dell’epoca. Inoltre va ricordato che a Foggia morì la moglie di Federico II, Isabella d’Inghilterra. A Foggia fu ricevuto anche l’Infante di Castiglia e, nel 1240, si svolse la riunione del “parlamento” del regno. Corrado IV radunò a Foggia un’assemblea nel 1252 e nel 1260 re Manfredi tenne nella città una “curia solemnis” durante la quale furono riuniti i nobili e i deputati degli insediamenti di tutte le provincie site a nord della Calabria. Infine, a proposito del palazzo imperiale di Foggia, il monaco e cornista inglese Matteo Paris (1200-1259) racconta di una festosa accoglienza e di ricevimenti nel palazzo reale in onore del cognato dell’imperatore, il conte Riccardo di Cornovaglia, nel 1241.

Sotto l’arco, affissa nel muro, è una lapide che ricorda Bartolomeo da Foggia, il “protomagister” responsabile, molto probabilmente, della realizzazione sia del palazzo che di molti degli elementi architettonici che decoravano il palazzo (e forse anche di quelli della Cattedrale).

Attraversiamo i tre archi di porta Manfredonia (un tempo Porta Grande), e dopo un rapido sguardo a ciò che resta del Piano delle Fosse, un tempo un ampio spazio con le fosse per la conservazione del grano, rimaste in uso fino al 1935 quando vennero realizzati i primi silos in via Manfredonia, raggiungiamo l’Epitaffio.

L’Epitaffio è un monumento, realizzato nel 1651, che era posto al congiungimento dei due tratturi più importanti che dall’Abbruzzo giungevano a Foggia: il tratturo L’Aquila-Foggia e quello Celano-Foggia. Esso fu eretto in una importante occasione: la “reintegra” dei tratturi del 1650. Come ho accennato nel precedente scritto, i tratturi erano periodicamente interessati ad azioni di occupazione e/o di limitazione da parte dei produttori cerealicoli che avevano proprietà lungo il loro tracciato. Ma l’importanza delle attività di pascolo per il Regno era tale che periodicamente venivano effettuate verifiche per ristabilirne le dimensioni e il tracciato. Una di queste “reintegre” venne realizzata tra il 1650 e il 1652 e, a memoria di essa venne realizzato questo monumento.

Dopo qualche anno il monumento venne riparato e, siccome gravemente danneggiato, ricostruito. Sui suoi lati sono riportati gli stemmi del viceré di Napoli e del Governatore della Dogana ai tempi della sua realizzazione e a quelli della sua ricostruzione. La statua in cima era originariamente quella di Filippo IV (1605-1665), ma venne poi sostituita con quella di Carlo II (1661-1700) al momento della ricostruzione del monumento.

Ancora qualche centinaio di metri e si giunge alla cosiddetta chiesa delle Croci, (in realtà il suo nome è chiesa di Monte Calvario). Sorge nel luogo nel quale, secondo la tradizione, al termine di una processione penitenziale per scongiurare un lungo periodo di siccità, l’officiante, il cappuccino Antonio de Olivadi, piantò sette croci. Successivamente le ultime due vennero sostituite da un piccolo edificio religioso e le altre cinque messe al riparo sotto cappelle aperte, tutte in tufo. la sequenza delle cappelle è anticipata da un arco trionfale (anch’esso in tufo).

L’opera risale al 1693, tutte le strutture sono in stile barocco; sull’arco trionfale all’ingresso e sulle cappelle sono incisi molti dei simboli della passione di Cristo: corona di spine, martello e tenaglia sull’arco trionfale, gallo, spugna e scala sulla prima cappella, incisioni diverse sulle successive. Sull’arco due statue (probabilmente erano quattro in origine). Curiosa la copertura delle cappelle a forma di cupole dal vago sentore orientaleggiante.

Il tufo con cui le strutture sono state realizzate offriva sicuramente il vantaggio di una più facile lavorazione (oltre ad una maggiore disponibilità), con il tempo, tuttavia, le strutture risultano molto erose e in precario stato di mantenimento.

Anche questo complesso si trovava lungo il percorso dei tratturi.

La nostra passeggiata è quasi finita.

A poche centinaia di metri sono i pochi ruderi sparsi del Parco dell’Iconavetere.

Il Parco sorge sull’area originariamente occupata dal Convento dei Frati Cappuccini, nella cui chiesa (dedicata a Santa Maria di Costantinopoli) la leggenda vuole che, all’indomani del pesante terremoto del 20 marzo 1731, la Madonna dei Sette Veli, abbia rivolto un benevolo sguardo sui fedeli, cosa che venne interpretata come una promessa di protezione per i foggianti, e della promessa di preservarli da altri simili eventi.

Il Convento, confiscato dallo Stato durante il decennio di occupazione militare francese del Regno di Napoli, venne trasformato in caserma di cavalleria, poi in alloggiamento di reparti di artiglieria, fino alla parziale distruzione causata dai bombardamenti del 1943. Degrado e incuria fecero il resto e del convento non restano, oggi che resti di mura, inglobati nel parco. Parzialmente recuperato, è saltuariamente sede di appuntamenti pubblici, soprattutto cerimonie religiose, ma rimane a lungo inutilizzato e oggetto di atti vandalici (FoggiaToday) https://www.foggiatoday.it/cronaca/riapertura-parco-iconavetere-foggia.html

Il gruppo si scioglie con l’appuntamento ad altre e interessanti occasioni di visita e di conoscenza di aspetti noti e meno noti della nostra città.

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