Lecce – 1

A distanza di oltre quindici anni dal mio precedente soggiorno leccese, durato oltre un anno e per esclusive ragioni di lavoro, sono ritornato per una visita più approfondita della città e del suo territorio, ricco di storia, di arte e di cultura.

Il Salento è una terra aspra, dura da lavorare, costituita da terreni pietrosi, dal riaffiorare continuo di “cruste” di pietra, ma al contempo offre scenari bellissimi, una costa ricca di grotte ed anfratti che si affacciano su due mari: l’Adriatico da un lato e lo Jonio dall’altro.

Terra di immigrazione da sempre (una parte del suo territorio si chiama “Grecìa”, e conserva dialetti che precedono la lingua greca classica) e di emigrazione in tempi moderni, conserva un intenso intreccio di caratteri e di caratteristiche, posta com’è sulla strada di un Mediterraneo abituato a collegare oriente ed occidente.

La nostra visita comincia nella campagne intorno a Lecce, con una visita all’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, un cenobio che sembra scaturire dal nulla della piana circostante, brulla e sassosa, che pure la perseveranza degli uomini ha saputo rendere, in parte produttiva.

Lasciata la statale che da Brindisi porta a Lecce, a pochi chilometri dal capoluogo salentino, superato un isolato quanto improbabile stabilimento industriale che si eleva in forme incongrue sul piatto paesaggio circostante, raggiungiamo la nostra prima meta.

Dall’esterno la costruzione è conchiusa dalle pareti lisce delle mura che la circondano, ma appena superato l’ingresso ci si trova davanti una assai bella e piacevole costruzione: una chiesa dalle forme equilibrate e delicate, posta al centro di una serie di edifici destinati ad attività produttive, agricole e di conservazione e trasformazione delle produzioni locali.

Attestazioni affermano che la sua fondazione risale a quando (tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo) Boemondo d’Altavilla, figlio di Roberto il Guiscardo, insedia un cenobio di monaci greci, seguaci della regola di San Basilio Magno, che ripararono in Salento per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste di Bisanzio.

Secondo la leggenda la sua fondazione sarebbe invece più tarda, cioè quando, alla fine del XII secolo, Tancredi d’Altavilla, conte di Lecce, durante una battuta di caccia, sarebbe apparsa la Madonna fra le corna di un cervo (da cui il toponimo Cerrate o Cervate).

Recenti scavi, realizzati dall’Università del Salento e dalla Provincia di Lecce tra il 2004 e il 2005, hanno evidenziato la presenza di attività produttive sin dall’età alto medievale. Successive scoperte di numerosi buchi da palo, e alcune sepolture (riferite ad un periodo tra il VII e l’VIII secolo), lasciano ipotizzare che l’insediamento monastico potrebbe datare ben prima dell’età normanna e riferirsi ad una presenza monastica di età bizantina.

Sorta in prossimità della strada romana che univa Brindisi con Lecce e Otranto, l’Abbazia venne ampliata fino a divenire uno dei più importanti centri monastici dell’Italia meridionale: nel 1531, quando passò sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli, il complesso comprendeva, oltre alla chiesa, stalle, alloggi per i contadini, un pozzo, un mulino, due frantoi ipogei.

Il saccheggio dei pirati turchi nel 1711 determinarono una fase di abbandono che proseguì nel corso del XIX secolo fino ai recenti interventi di recupero e di restauro e l’affidamento al FAI.

Oggi, dopo un complesso intervento di restauro che ha permesso anche di riaprire al culto la Chiesa di Santa Maria di Cerrate, l’Abbazia è nuovamente visitabile e rappresenta uno splendido esempio di architettura romanica pugliese impreziosita da importanti affreschi che ne fanno un unicum nel mondo bizantino.

La facciata della chiesa al centro dell’insediamento, ha una facciata a capanna, gradevolmente allietato da una serie di archetti ciechi che continuano anche sul fianco destro e sulle esedre posteriori, mentre sul lato sinistro un piacevole porticato coperto è sostenuto da colonnine (cilindriche o poligonali) con capitelli scolpiti.

Si accede alla chiesa attraverso un unico portale centrale, scolpito con figure e decori nell’intradosso, sormontato da un rosone e, lateralmente, da due piccole monofore.

L’interno è a tre navate, sostenute da colonne e con un soffitto a travi. Alle pareti laterali e nell’abside affreschi del ‘300 e del ‘400; alcuni sono martellati per far posto ad altri affreschi coevi, oggi staccati dalle pareti ed esposti in uno dei locali posti nelle adiacenti strutture (l’Officina). A metà della navata destra un altarino di stile barocco. Più interessante un altro altarino posto all’altezza della seconda colonna di sinistra, realizzato nel 1642 e dedicato alla Vergine (era stato rimosso nel 1971 ed è ora riproposto nella stessa sede). Questo secondo altarino sostituiva una originaria struttura muraria bassa con affreschi della Madonna con Bambino e Sant’Antonio Abate; anche questi affreschi, restaurati, sono ora nei vicini locali dell’Officina. L’altare maggiore è sovrastato da un baldacchino in marmo sostenuto da quattro colonne con capitelli.

Nella chiesa, oggi, si celebrano riti religiosi sia secondo il rito cattolico che secondo quello ortodosso.

Sulla sinistra della chiesa un pozzo con sovrastrutture ottocentesche.

Tutto intorno all’edificio religioso sono, come detto, le strutture all’epoca dedicate ad attività produttive ed oggi, ben restaurate, dedicate all’accoglienza dei visitatori, alla esposizione degli affreschi riportati dalla chiesa, ad attività ricreative e culturali, alla esposizione di strumenti e mezzi di produzione dell’epoca.

Tra questi ultimi, vanno citati tre frantoi diversi di varie epoche e alcune strutture dedicate alla conservazione degli alimenti.

Nell’attività di recupero del sito vanno citati anche alcuni interessanti interventi quali la realizzazione di un agrumeto, quello di un allevamento di api e, assai importante, il ripristino di alcune infrastrutture utili per la capostazione e la conservazione dell’acqua piovana.

Complessivamente, dunque, una visita assai interessante che è propedeutica alla visita che stiamo per intraprendere nel capoluogo leccese che raggiungiamo a pochi chilometri di distanza.

Partiamo da Porta Napoli, uno dei principali accessi al centro storico del capoluogo salentino.

La porta, preceduta dall’obelisco di Ferdinando I del 1822, è un grandioso Arco di Trionfo realizzato a metà del cinquecento in onore di Carlo V, il quale aveva fatto edificare le nuove fortificazioni in difesa della città. Era la porta dalla quale prendeva avvio la via consolare per Napoli.

Oggi la porta è isolata, separata dalle preesistenti e ormai perdute mura cittadine; l’Arco è a fornice unico ed è a tutto sesto. Sul lato esterno al centro storico è affiancato da due colonne in stile corinzio per ogni lato; le colonne sostengono un frontone triangolare al centro del quale è lo stemma imperiale di Carlo V.

La decorazione del frontone è costituita da raffigurazioni di cannoni e armature, che ricordano molto la simbologia degli archi di trionfo romani. Nella parte centrale, sotto il frontone, un’iscrizione inneggia al sovrano, che viene ricordato ed elogiato inoltre quale fondamentale sterminatore dei turchi, questo in riferimento all’aiuto militare sostenuto per fare fronte alle incursioni moresche nei suoi territori in Terra d’Otranto.

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