Le “Ciampate del diavolo”

La località si trova sul lato orientale esterno del blocco vulcanico di Roccamonfina.

Ci arriviamo da Foggia, percorrendo la Lucera-Campobasso ed una inopinata deviazione all’altezza di Isernia. Il Tom-tom, infatti, con il quale continuo ad avere una relazione niente affatto positiva, invece di farci scendere nel fondovalle, ci indirizza prima verso Roccaraso e poi ci fa ridiscendere verso Venafro.

Tuttavia non posso lamentarmi, in quanto la strada che ci fa percorrere (una larga superstrada a quattro corsie), si snoda lungo le creste montagnose, attraverso boschi verdi ed ubertosi, per lasciarci poi scendere attraverso la bella ed ampia valle del fiume Volturno. Insomma un giro lungo, ma assolutamente bello ed interessante.

Giungiamo dunque sulla Casilina, quasi a metà strada tra lo svincolo autostradale di Caianello e quello di San Vittore; dopo una sosta in una trattoria incrociata lungo la strada, della quale non vi parlo perché non degna di nota, cominciamo a salire verso il paesino di Tora e Piccilli (è un unico Comune della provincia di Caserta). Da qui, verso la frazione di Foresta, percorrendo una stretta stradina. Fermata l’auto nella piccola piazzetta, individuiamo la strada per giungere al sito.

Si tratta di un viottolo che si intrufola e scende veloce nel terreno scavato, sopra di noi una copertura di rami frondosi. Il sentiero è umido, a tratti bagnato, ma è ben tenuto: i gradoni di legno bene infissi nel terreno, una ringhiera di rami nel punto più impervio e difficile, listelli di legno antiscivolo nel tratto più umido e bagnato.

Giungiamo al termine della discesa. Un cancello ricorda di chiedere preventivamente al Municipio la possibilità di visitare il sito; ancora poche decine di metri lungo un sentiero battuto e si raggiunge uno slargo, attrezzato con una piattaforma in ferro e legno. Di qui si può comodamente osservare il fronte costituito dalla lava solidificata dell’antico vulcano ormai spento.

Ed eccole, ben visibili, le impronte, le “ciampate”

Si vedono bene due serie di orme: una scende diritta e decisa lungo il pendio; l’altra procede più incerta, zigzagando, e, lateralmente ad essa, dei segni più piccoli sembrano indicare un appoggio con le mani durante la discesa.

E’ stata la tradizione orale e popolare del luogo, ad attribuire queste orme al diavolo, l’unico che possa avere piedi così grandi.

Successivamente si è pensato ad orme di uomini preistorici, ma nessuno studio approfondito era stato compiuto fino agli inizi di questo secolo.

Peraltro queste impronte sono state impresse quando il terreno lavico doveva essere ancora abbastanza morbido (e caldo), tanto da poter lasciare il segno di questi passaggi.

Così sono descritti i fatti sul sito di Wikipedia: “Nessuno si è mai posto il problema della vera origine di quelle impronte, finché nel marzo 2003 un docente di stratigrafia dell’ Università di Padova, Paolo Mietto, si è recato di persona sul posto per controllare: l’analisi ha rivelato che le impronte appartengono all’ Homo Heidelbergensis, ominide che viveva nella zona circa 350 mila anni fa. In base a tale datazione, le orme risultano le più antiche mai trovate del genere Homo.
Secondo la ricostruzione di Mietto, le impronte appartengono ad un gruppo di tre individui che, 350 000 anni fa, è sceso lungo il fianco della montagna formato da fanghiglia calda. Nei punti in cui si scivolava, gli uomini si sono aiutati con le mani, lasciando infatti alcune impronte (…). Probabilmente un vento secco ha asciugato velocemente il terreno, così da conservare nel tempo le impronte. Le 56 impronte, che misurano in media circa 10 centimetri per 20 (corrisponde circa all’odierna misura 36), lasciano presumere un’altezza di circa 160 cm (statisticamente l’altezza più probabile associata a quella taglia del piede), (…).” (https://it.wikipedia.org/wiki/Ciampate_del_Diavolo).

I risultati sono stati pubblicati dalla prestigiosa rivista “Nature”.

Questo è l’ “Abstract”, dalla rivista “Nature” del 13 marzo 2013: “These ancient tracks are the oldest known to have been made by fully bipedal humans. We have analysed three fossilized trackways of human footprints in a zeolite-rich pyroclastic flow dated to 385,000–325,000 years ago, discovered along the western margin of the Roccamonfina volcanic complex in southern Italy. We believe that these tracks are the oldest human footprints found so far and that they were made by hominids who had a fully bipedal, free-standing gait, using their hands only to steady themselves on the difficult descent.” (http://www.nature.com/nature/journal/v422/n6928/full/422133a.html).

Insomma, niente diavoli, ma uomini, anzi ominidi.

Una scoperta di grande rilevanza. Un luogo di grande interesse.

Oltre quelle due serie di orme che io sono riuscito a vedere e fotografare, sono state scoperte molte altre orme in questo luogo e in altri viciniori.

Così ne parla simpaticamente il sito “Luoghi misteriosi”: “Inizialmente sono state portate alla luce 56 orme organizzate in tre Piste (…). I successivi scavi, o meglio lavori di pulizia – perché è bastato rimuovere pochi strati di terra – hanno portato alla luce altre impronte, non solo umani ma anche animali. In totale oggi se ne contano 100 e 7 piste fossili ancora visibili, ma probabilmente potrebbero emergerne di nuove perché a pochi chilometri dal luogo del ritrovo, a Marzano Appio, nella frazione Caranci – collegata a Foresta da un antico sentiero – sono state rinvenute altre impronte.  Si tratta di antichi percorsi calpestati ripetutamente dagli ominidi. Le piste più interessanti dal punto di vista scientifico, sono comunque le prime tre, poiché si tratta di orme fuori dai percorsi abituali e quindi non ricalpestate. In esse è visibile la depressione del tallone e dell’arco plantare, nonché il palmo della mano e il solco dell’anca di uno dei tre che nel discendere il pendio ha perso l’equilibrio e ha rischiato di cadere. I tre ominidi discendevano il pendio – esteso lateralmente per alcune decine di metri, e che copre un dislivello di poco più di 4 metri – non per sfuggire al massa lavica, come inizialmente si pensava; ciò su cui 350.00 anni fa camminavano, non era magma bensì una fanghiglia calda, o meglio una superficie piroclastica in raffreddamento (con una temperatura tra i 60 e i 40°C), abbastanza fredda da poter essere calpestata, ma non così fredda da essere ormai litificata. Ecco perché le impronte appaiono tanto grandi. Il terreno fangoso e la leggera inclinazione hanno originato un calco molto grande ma in realtà di tratta di piedi molto piccoli: lunghi non più di 20 cm e larghi 10, insomma un piccolo demonietto che oggi indosserebbe scarpe da ginnastica numero 35! Ma in realtà l’ Homo Heidelbergensis progenitore dell’ Homo di Neanderthal, era una specie fatta da individui molto alti, quasi giganti di un metro e ottanta, due metri e dieci, con ossa grandi due volte le nostre; si è avanzata dunque l’ipotesi che si trattasse di tre ragazzini, forse adolescenti, che scelsero di non seguire il sentiero principale tracciato dagli adulti. Spetterà ai paleontologi verificare quest’ipotesi, per ora la scienza ha già dato un corpo a un demone che per secoli ha infestato i boschi.(http://www.luoghimisteriosi.it/campania/foresta.html).

Dunque un piccolo luogo, poco conosciuto, poco frequentato, ma assai interessante e significativo per la conoscenza dell’uomo e dei suoi progenitori.

Un luogo la cui bellezza e il cui interesse sorpassa di gran lunga la difficoltà e i problemi incontrati per arrivarci.

Un luogo la cui visita consiglio caldamente!

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